26 settembre 1999. NÜRBURGRING, Germania. Si corre il Gran Premio d’Europa.
Siamo al 31° giro di una gara pazza, segnata da continui scrosci di pioggia.
Heinz-Harald Frentzen, al volante della Jordan numero 8, è in testa alla corsa. Vincere lo porterebbe in testa al campionato piloti. A due sole gare dalla fine.
Frentzen, su una Jordan gialla, si gioca il mondiale. Non è un’impresa, è una favola. La favola di un team senza soldi, un team completamente pazzo, che è arrivato a giocarsi il mondiale di F1.
Frentzen affronta la chicane dell’ultimo settore e si tuffa in corsia box. Se tutto va bene, quello sarà l’unico pit-stop della sua gara. Mette il limitatore, si ferma tra i suoi meccanici vestiti di giallo, cambio gomme perfetto, rifornimento effettuato e via, si riparte.
La fine della pit-lane si avvicina. Frentzen è pronto a togliere il limitatore.
E poi…
PARTE I – SEMPRE TU, JORDAN!
E poi dobbiamo tornare indietro nel tempo. Otto anni prima.
1991, Spa-Francorchamps. Le Jordan 191 sono uno spettacolo, tra le monoposto di F1 più belle mai costruite. Oltre alle forme, molto eleganti, colpiscono i colori.
Sono quelli della 7UP, la gazzosa del marchio Pepsi.
Dietro a questi colori c’è un’intuizione che racconta tutta la genialità di Eddie Jordan, il mitico fondatore di questa scuderia molto, molto squattrinata.
Vent’anni prima, nel 1970, Eddie Jordan è un giovane impiegato della Bank of Ireland. È bravo nel suo lavoro ma, come tanti impiegati, sotto sotto si rompe le balle. E quando d’estate scopre i kart, l’amore scocca più veloce di quanto possa accadere con una bella ragazza.
I motori diventano la sua passione. Anzi, la sua ossessione. Jordan ci sa fare con i conti, lo abbiamo detto, e mostra abilità anche al volante. Inizia a correre nelle formule minori, dalla Formula Ford fino alla Formula 3.
Ottiene molte vittorie, addirittura qualche campionato minore, ma nel 1979 è senza soldi e senza capelli. Il secondo problema, secondo Eddie, deriva da un brutto incidente dopo il quale avrebbe perso di colpo l’intera chioma. Chissà se è vero – fatto sta che si tratta di problema facilmente risolvibile: parrucchini a gogò, e via.
La prima magagna, quella dei soldi, è un po’ più complessa da risolvere. Servono decisioni drastiche e un po’ di fantasia. Così Eddie, che nel frattempo ha messo su famiglia, decide di appendere il casco al chiodo. Non correrà più. Però non dirà addio alle corse, l’amore è troppo grande.
Eddie mette in piedi un team di Formula 3, l’Eddie Jordan Racing, e dopo qualche anno inizia anche a lavorare come manager di giovani piloti.
Se prima i soldi li perdeva, adesso Eddie inizia a guadagnarli. Il suo team è molto competitivo: nel 1983 schiera nella Formula 3 inglese Martin Brundle, che sfiderà per tutta la stagione un certo Ayrton Senna.
La squadra cresce e a fine anni ’80 arriva a competere in Formula 3000, la categoria che ai tempi era l’ultimo passo prima della F1. Eddie schiera il giovane Johnny Herbert ma i soldi scarseggiano. Che fare?
Il racconto di come risolve il problema fa capire in pieno Eddie Jordan.
Chiama i dirigenti della Camel e, senza troppi fronzoli, li apostrofa così: ehi, io ho il pilota più forte e voi non avete nessuno in F3000. Tutti i pilotini vincenti sono Marlboro. Che facciamo? Dalla Camel gli rispondono picche, il budget per la stagione 1988 è chiuso. Ma Eddie insiste e riesce ad ottenere un incontro per il martedì successivo alla prima gara. Bisogna vincere, per fare bella impressione. Ma dato che vincere potrebbe non bastare, Eddie Jordan ruba due sticker della Camel da non si sa dove, li piazza sulle pance delle macchine, Herbert vince la prima gara e puff, pubblicità gratuita per la Camel sui giornali di tutto il mondo.
Ovviamente, il martedì successivo, contratto con la Camel chiuso.
Insomma, avete capito il tipo. E starete anche intuendo quale sia stato il passo successivo, per la Eddie Jordan Racing.
La F1.
Jordan entra nel Circus nel 1991, con una squadra piccolissima, di neanche 100 persone. Il direttore tecnico è Gary Anderson, un meccanico e disegnatore inglese che non ha frequentato università o corsi di aerodinamica, si è fatto le ossa in pista.
La squadra, ovviamente, ha pochissimi soldi, e deve anche partecipare alle pre-qualifiche del venerdì mattina. Un girone dantesco dove le piccole scuderie si sfidano per due posti a disposizione nel resto del weekend, con la pista sporchissima e il resto del paddock addormentato. Se non le passi torni a casa.
Ma quella Jordan 191 non sembra appartenere alle monoposto squattrinate. Caspita, è sponsorizzata da 7Up e FujiFilm! Anche questa fu un’intuizione geniale di Eddie Jordan: vendette gli spazi sulla sua macchina ad un prezzo scontatissimo, a patto però che lo sponsor fosse un’azienda conosciuta e di alto livello.
Fu una mossa geniale, perché diede molta credibilità a una squadra che di soldi non ne aveva tanti, anzi, ne aveva pochissimi.
Torniamo a Spa-Francorchamps.
Avete presente quelle persone alle quali succede di tutto? Quando accade qualcosa di strano, caotico, chissà perché sono sempre in mezzo loro. Sono sicuro che chiunque ha in mente almeno un compagno di classe del genere. Ecco, la Jordan, in F1, è sempre stata così. Accadeva qualcosa di strano? Stai sicuro che di mezzo c’era la Jordan. Sedetevi comodi, continua la storia.
Dicevo, siamo a Spa. La Jordan è già andata a punti, più volte, a metà stagione si è conquistata il diritto di saltare le pre-qualifiche, insomma, ormai è una squadra affermata.
Peccato che per il Gran Premio del Belgio le manchi un pilota. Bertrand Gachot non può raggiungere il circuito perché è in una cella di Londra. Cella intendo di prigione. L’hanno arrestato dopo che durante una litigata con un tassista l’ha colpito con uno spray al peperoncino.
Così, viene proposto alla Jordan un giovane pilota tedesco, dell’accademia Mercedes. Eddie non ne ha mai sentito parlare ma fa il prezzo: datemi 150.000$, e io faccio correre chi volete.
Quel ragazzotto con un mascellone gigante è nato vicino a Spa ma non ha mai guidato su quella pista. Si chiama Michael Schumacher. Al debutto si prende il 7° posto in griglia di partenza. È un talento unico e si sposa benissimo con la Jordan 191: peccato che Flavio Briatore, dopo una serie di negoziazioni da film, riesce a strapparlo da sotto il naso di Eddie e a portarlo alla Benetton già dalla corsa successiva, a Monza.
Il resto è storia e per la Jordan le cose iniziano a farsi complicate.
La squadra nel 1991 è diventata credibile, ok, ma la strategia di sponsor a basso costo di Eddie ha lasciato le casse vuote.
Così, per il 1992 cambia la musica. Arrivano tantissimi sponsor, quasi tutti sconosciuti e molto piccoli, e dai motori Ford clienti si passa ai motori Yamaha. Motori che vengono forniti gratis dalla casa giapponese, che vuole crescere in F1.
Peccato che i motori siano pesanti, poco potenti e abbiano una curiosa abitudine non proprio lusinghiera: hanno il vizio di rompersi quando vengono accesi e la macchina è ancora sui cavalletti.
Per descrivere il 1992 e le difficoltà economiche nel tenere in piedi la squadra, Eddie Jordan si faceva pochi problemi nell’essere molto, molto esplicito: Avevo le più croniche emorroidi da stress che si possano immaginare, altro che stare seduto al muretto box!
Direi che stiamo capendo sempre più il tipo, no? Jordan era una di quelle persone che gli inglesi descrivono come a larger than life character, un tipo esuberante, molto simpatico, un bel po’ volgarotto in privato ma incredibilmente bravo negli affari. Non solo: era un ottimo batterista e aveva una band con un nome eloquente, tra l’altro suggerito da Bernie Ecclestone: Eddie and the Robbers.
Come i cani finiscono ad assomigliare ai padroni, anche le scuderie di F1 assomigliano a chi le ha fondate e le dirige.
Perciò, alla Jordan, succede davvero di tutto.
Prendete il 1993: la macchina migliora, sono arrivati i motori Hart che sono un grande passo avanti, ma c’è un viavai di piloti paganti che la metà basta. Per le ultime due corse Jordan punta tutto su uno dei suoi giovani piloti, un certo Eddie Irvine. Eddie a Suzuka va fortissimo, arriva 6°, ma in fase di doppiaggio dà molto fastidio a un certo Ayrton Senna. E dopo la gara, fomentato da qualche cicchetto di troppo con Gerhard Berger, Ayrton va verso Irvine e per spiegargli che non deve comportarsi così, beh, gli tira un bel pugno in faccia.
Irvine e Jordan si guardano in faccia e pensano entrambi la stessa cosa: non poteva accadere di meglio, sai quanta pubblicità ci becchiamo!?!?
Gli episodi sulla Jordan sono infiniti. Nel 1994, al volante di una Jordan, Rubens Barrichello ha il terribile incidente che dà il via al maledetto weekend di Imola. Sulla stessa Jordan, ormai competitiva a centro gruppo, Rubinho conquista la prima Pole Position della storia della squadra a Spa, nell’unica stagione in cui c’è una chicane temporanea che rallenta la salita dell’Eau-Rouge Raidillon.
Oppure, nel 1995, dopo che Barrichello si piazza 2° a Montreal nel giorno dell’unica vittoria di Jean Alesi, beh, sapete qual è il miglior colpo economico di Jordan?!? Non è uno sponsor ma è la vendita di Irvine alla Ferrari. 5mln di $, perfetti sia per arricchire Eddie, sia per far crescere ancora la squadra.
Ormai la Jordan è una realtà solida, con sempre meno problemi economici e sempre più competitiva. Certo, i budget delle grandi squadre rimangono lontani. Ma la Jordan si difende bene e inizia ad attirare i primi sponsor di peso.
Nel 1996 arriva un 5° posto in classifica Costruttori e la sponsorizzazione di Benson & Hedges, una marca di sigarette che impone una vistosa colorazione dorata, dopo qualche gara con un giallino spento che, pensate un po’, fa arrabbiare Eddie Jordan.
Perché? Perché con quella livrea Martin Brundle è protagonista di un incidente clamoroso a Melbourne, nel primo giro della prima gara. Le immagini fanno il giro del mondo e Eddie ci rimane male. Per l’incidente, direte voi, no? No! perché gli sponsor si notano troppo poco.
Così da Monaco la Jordan passa all’oro accesso e per il 1997 si pensa ad una nuova colorazione.
Un giallo pieno, molto acceso, e il disegno di un serpente sul muso. È nata la mitica Jordan gialla, la protagonista della nostra storia.
Nel 1997 la monoposto inglese, che monta i motori V10 Peugeot, è davvero competitiva. Sfiora la vittoria più volte: in Argentina, ad esempio, un contatto tra i due piloti Ralf Schumacher e Giancarlo Fisichella manda all’aria tutto. Ma ci sono comunque podi e di nuovo la 5° posizione in classifica.
Il 1998 inizia con grandi premesse. Sono arrivati i motori Mugen-Honda, l’obiettivo è la prima vittoria e al posto di Fisico, passato in Benetton, c’è Damon Hill, un campione del mondo.
Nei primi mesi della stagione la macchina ha un problema aerodinamico all’anteriore, che provoca enorme sottosterzo. Una volta risolto con un pacchetto di aggiornamenti a Silverstone, le Jordan diventano la terza forza dietro a Ferrari e McLaren.
Finalmente, sotto il diluvio di Spa-Francorchamps – eh già, ancora quella pista -, in una giornata segnata dal mitico contatto tra Schumi e Coulthard – ve l’ho detto, la Jordan è sempre in mezzo quando accade qualcosa di strano -, ecco, finalmente arriva la prima vittoria.
Addirittura, una doppietta. Prima Hill, poi Ralf Schumacher. È un vero trionfo, con Eddie Jordan che saltella impazzito di gioia per tutta la pit-lane.
La stagione si chiude con il 4° posto in classifica costruttori e un obiettivo molto chiaro per il 1999: tornare a vincere e dare fastidio ai team più forti.
Beh, accadrà molto, molto di più.
PARTE II – LA FAVOLA 1999
Per la stagione 1999 Jordan e Williams si scambiano due piloti. Alla Williams va Ralf Schumacher, mentre il percorso inverso lo fa Heinz-Harald Frentzen.
Frentzen è un pilota misterioso. È cresciuto assieme a Michael Schumacher nelle formule minori, e gli osservatori l’hanno sempre descritto come il più veloce dei due, almeno quando è tutto a posto.
Solo che Frentzen è molto discontinuo, sin da ragazzo, quando raggiungeva le piste di kart con i mezzi dell’azienda di famiglia: un’agenzia di pompe funebri.
Frentzen sbarca alla Jordan dopo due anni in Williams disastrosi. Lo avevano preso come l’anti-Schumacher ma è arrivata una sola vittoria e il clima in squadra non è mai stato dei migliori. Ha bisogno di un ambiente familiare, positivo, divertente e forse un po’ pazzo. Alla Jordan lo trova.
Nel 1999 la monoposto si chiama Jordan 199. È un’evoluzione della monoposto 1998 e, grazie a un motore più potente e a un’aerodinamica più raffinata, si gioca il ruolo di terza forza con le Stewart.
Davanti, molto più veloci, ci sono McLaren e Ferrari. Diciamo che, in termini di distacco dai primi, vale una VCARB o una Williams di oggi, ma tra la Jordan e i due team migliori non ci sono altre squadre.
Frentzen si trova bene con la macchina e inizia a guidare divinamente. Ritrova la fiducia in sé stesso. Pensate che, in tutta la stagione, la sua posizione di qualifica media sarà 5.3, in sostanza il primo degli altri.
Il campionato 1999 è folle, sin dai primi GP. La McLaren potrebbe dominare la stagione ma piloti e squadra buttano via un’occasione dopo l’altra. Le Ferrari reggono a tratti il passo e hanno un fenomeno al volante, Schumi, che in poco tempo diventa il favorito numero 1 al titolo. Peccato che Michael si rompa la gamba a Silverstone e finisca fuori dai giochi.
Così, zitto zitto, Frentzen non perde mai troppo terreno. Secondo a Melbourne, terzo in Brasile, quarto a Monaco. Poi a Montreal ha un bruttissimo incidente, dal quale esce con una micro-frattura alla gamba.
Frattura che Heinz-Harald nasconde ai vertici della Jordan, tanto che si presenta a Magny-Cours, per il Gran Premio di Francia, come se nulla fosse. In realtà, fa una fatica incredibile anche solo ad entrare nella monoposto.
Ora, non so quanti di voi conoscono Magny-Cours, ma è un posto disperso nel cuore della Francia. Non c’è niente intorno, solo campi, per chilometri e chilometri. Ecco, il giorno della gara la Jordan manda in mezzo a questi campi Big Joe, uno degli autisti della squadra, e gli ordina di tenere d’occhio le nuvole che si avvicinano al circuito.
Durante la gara, Big Joe chiama e dice: guardate che da me diluvia! È il segnale perfetto per aggiustare la strategia e azzeccare perfettamente tutte le mosse. In una gara dove tutti sbagliano tantissimo, Frentzen e la Jordan non mettono una ruota fuori posto e, tac, vittoria.
Nelle successive cinque gare arrivano due terzi posti e tre quarti. Insomma, un sacco di punti. A Monza la Jordan vola e Frentzen si prende la prima fila in qualifica. Quando Hakkinen sbaglia una scalata e si insabbia alla prima variante, lì c’è la Jordan pronta ad approfittarne.
Un’altra vittoria, la prima in condizioni asciutte per la Jordan, e la classifica, improvvisamente, diventa molto interessante.
Al vertice ci sono Hakkinen, pilota McLaren, e Irvine, pilota Ferrari, con 60 punti. Frentzen è 3°, con 50 punti. Dieci punti di distacco a tre gare dalla fine. Dieci punti, tanto quanto vale una vittoria, nel 1999.
Pochi anni prima, la Jordan era una squadra senza soldi. Una delle mitiche squadre sgarrupate. Ora è un team di centro gruppo che si gioca il Mondiale di F1.
E il sogno al Nürburgring continua. Frentzen conquista una Pole Position storica, interpretando al meglio le condizioni umide della pista.
In gara parte benissimo e controlla la prima metà della corsa senza battere ciglio. Hakkinen e Irvine, invece, fanno casino, montando le gomme da bagnato durante uno scroscio di pioggia che finisce subito.
Se la gara finisse al 31° giro, con Frentzen primo e i due rivali fuori dai punti, Heinz-Harald si troverebbe a 60 punti, gli stessi degli avversari. Tre piloti a pari punti a due gare dalla fine del campionato.
E così siamo tornati all’inizio di questo video.
Frentzen toglie il limitatore e torna in pista. Accelera, ma la sua Jordan non risponde. Si è spenta sul più bello. Deve parcheggiare alla prima curva.
Un problema elettrico, un guasto stupido? No. È molto peggio.
Nel 1999 la Jordan, come molte altre squadre, aveva un sistema antistallo molto sofisticato, che aiutava nelle partenze da fermo. Una sorta di launch control leggero. Il pilota doveva toglierlo manualmente appena dopo lo scatto; altrimenti, la macchina andava in protezione e si spegneva.
In ogni singola gara l’ingegnere di pista ricordava a Frentzen, dopo un pit-stop, di premere il bottone. Press cancel, press cancel. Al Nürburgring, preso dalla foga della corsa, ricordò solamente a Frentzen che si sarebbe trovato davanti a Ralf Schumacher, e che tenendolo dietro avrebbe vinto. E Frentzen non si ricordò da solo di premere il pulsante.
Crudeli le corse, eh? Pensate che, quando la Jordan tornò ai box, nel dopo-gara, una volta collegato il motore d’avviamento, puff, la macchina si accese senza il minimo problema.
Fa male raccontare una storia del genere, viene l’angoscia venticinque anni dopo.
Non so dirvi se la Jordan e Frentzen avrebbero davvero potuto vincere quel mondiale. In Malesia e in Giappone, Ferrari e McLaren erano troppo forti. Frentzen chiuse 6° a Sepang, dopo una qualifica terribile, e 4° a Suzuka.
Ma ormai il sogno era svanito. Forse, arrivando in Malesia in piena corsa, la Jordan avrebbe continuato a volare sulla sua nuvoletta fantastica.
Purtroppo, non andò così.
PARTE III – GLI AEREI GIALLI
Eddie Jordan è mancato a marzo 2025 dopo una lunga malattia. Questa storia è il nostro modo di ricordare una persona incredibile e un’avventura stupenda.
La Jordan, dopo il 1999, iniziò un lento declino e fu venduta nel 2005. Oggi è diventata l’Aston Martin. Arrivò solamente un’altra vittoria, nel 2003 con Fisichella, dopo un Gran Premio del Brasile fradicio e tutto pazzo. Classica Jordan.
C’è un ultimo episodio, però, che voglio raccontarvi. Forse quello che più di tutti racconta Eddie.
Nel 2002 la DHL firmò un contratto di sponsorizzazione con la squadra. Loghi belli grandi sulle pance della vettura. L’azienda logistica era appena diventata tedesca. Fino a quel momento, i suoi colori erano il bianco come base e il rosso per la scritta.
Così, chiesero ad Eddie che i colori della macchina fossero quelli. Jordan andò da Benson & Hedges e loro gli risposero: neanche per sogno, la macchina resta gialla.
Bel problema. Come risolverlo?
Se ti chiami Eddie Jordan bastano cinque minuti.
Eddie si presentò vestito con la divisa della squadra alla fine di un consiglio di amministrazione di Deutsche Post, i nuovi proprietari di DHL. Li guardò e gli consegnò una serie di foto di camioncini e aerei bianchi.
Poi, improvvisamente, spuntarono poche foto di furgoni e aerei gialli con la scritta DHL rossa. Il colore di Deutsche Post, ok, ma soprattutto, il colore che la Jordan proprio non poteva cambiare.
Eddie guardò i membri del consiglio e gli disse: che dite, la DHL si nota di più gialla o bianca?
Questa è la storia del perché la DHL è gialla. E di come Eddie Jordan salvò tanti, tanti soldi di sponsorizzazione.
Per le sue mitiche Jordan gialle.
Alberto Naska e Luca Ruocco
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